TRACKLIST
01 Più lontano di Così
02 Stornelli di questua di Maggio
03 Nena mia so’ barcarolo
04 Cattivo custode
05 Accordo
06 Quadriglia
07 Mampresa
08 Donna lombarda
09 La bella ninfa
10 La pastora e il lupo
11 Valzer della giostra
12 Il sogno delle stelle
13 Jemose bella mia
14 Pianto di Maria
FORMAZIONE:
Daniele Conversa- chitarra, bandola, voce
Antonella Giallatini- percussioni, voce
Riccardo Masi- voce, organetto
Gabriele Modigliani- chitarra, voce
Sara Modigliani- voce, flauto dolce
Claudia Mortali- voce
Giuseppe Pontuali- organetto
Ospiti:
Marta Cascarano- flauto dolce (tr.1)
Michele Modigliani- fagotto (tr.1,6,9,11)
Alessandro Quarta- voce solista (tr.14)
Raffaele Rambone- chitarra elettrica (tr. 12)
Negli anni ’90 la scena folk ha un improvviso risveglio, che parte dal fenomeno delle posse, che rivalutano la forza espressiva del dialetto, fino ai gruppi alternativi che in aperta contrapposizione al mainstream e al colonialismo culturale anglo-americano riscoprono la musica della tradizione, sia esteticamente che politicamente. Sono gli anni in cui riscuotono crescenti successi gruppi come Gang (seminale il loro “Le radici e le ali”, 1990), Mau Mau, Modena City Ramblers, Folkabbestia, Parto delle nuvole pesanti, Agricantus ed altri ancora (pensiamo per esempio all’etnojazz di Daniele Sepe) che in modi e misure diverse si muovono tra passato e futuro. Anche i nomi storici si rifanno sotto: Eugenio Bennato dopo la sbandata pop riesuma il brand Musicanova e di lì a poco farà ritorno alle radici anche Teresa De Sio. Ambrogio Sparagna e Riccardo Tesi non sono più solo nomi confinati a quel ristretto gruppo di carbonari che nel decennio precedente teneva viva la fiamma delle canzoni e dei balli tradizionali: ora si lanciano in progetti arditi e collaborano con numi tutelari della canzone d’autore come Fabrizio De Andrè, Ivano Fossati e Francesco De Gregori. Sono ben due le riviste (“Folk Bulletin” e “World Music”) che danno conto di questa brulicante scena che, complice anche il boom della Notte della Taranta in Puglia, sembra assurgere a nuova vita, grazie anche alla nascita di nuove etichette interamente votate a questo materiale, e a riviste (come “Avvenimenti”) e quotidiani (come “Il Manifesto”) che si lanciano in una parallela attività discografica che attinge a piene mani a questi suoni antichi che improvvisamente diventano moderni.
Insomma, c’è fermento, c’è voglia di riscoprire attraverso certa musica un modo diverso di stare insieme, di fare festa fuori dagli spazi spesso alienanti di una discoteca.
“La Piazza” nasce quando Sara Modigliani, storica voce dei primi due album del Canzoniere del Lazio, da vent’anni fuori dal giro, parla con un suo amico gastroenterologo che suonava chitarra e mandolino: “Mi sono accorta che lui e un suo amico con l’organetto facevano tutto il repertorio del Canzoniere del Lazio e mi hanno chiesto di mettere su un gruppo. Ma io non mi rendevo proprio conto che c’era qualcuno a cui piacevano quelle cose e che le suonava ancora…era come se fossero cose mie, del mio passato. E lui, mi fa: “Ma Sara, ma queste le sa un sacco di gente, voi siete stati lo spirito guida per tante persone”. Timidamente abbiamo messo su un gruppo che si chiamava La Cinciarella. Poi c’è stato un altro episodio contestuale, Claudio Papi, il mandolinista, aveva un disco, un bellissimo LP. L’ho ascoltato e alle prime note mi son detta: “Questo è quello che voglio fare”. Era un disco di Italia Ranaldi, l’unico disco fatto da lei: “Italia Ranaldi e la Sabina”. Da qui la voglia, tramite il nuovo gruppo La Piazza, di dare seguito, a metà anni '90, all'esperienza sul campo del Canzoniere del Lazio.
“Milandè” esce nel 1997 ed è il secondo lavoro di questa formazione di sette elementi che se da una parte prosegue il lavoro sulla tradizione laziale che fu del primo CdL (quello che aveva come guida spirituale Alessandro Portelli), dall’altra cerca di rinverdirla con composizioni originali, a cominciare dall’iniziale “Più lontano di così” inedito donato da Giovanna Marini (con cui la Modigliani aveva iniziato a collaborare fin dagli anni Settanta e con cui ha fondato la Scuola di Musica Popolare del Testaccio e poi la Bosio Big Band). E’ un inizio un po’ straniante, incentrato su voci polifoniche che intessono un moderno madrigale che funge da manifesto programmatico (“Più lontano di così/ più lontano di così non si può andare/ devi ritornare a terra e acqua sempre/ devi ritornare a terra”). Un pezzo meraviglioso (con un testo da antologia) che nel finale sfuma nel tradizionale calabrese “Pianto di Maria”, bissato nel finale da un altro canto rituale del venerdì santo, stavolta preso da una processione sacra a Fiuggi.
Dopo questo inizio a canto spiegato, molto legato alla lezione di Giovanna Marini, ecco che fa il suo ingresso la ritmica e l’organetto con gli “Stornelli di questua di maggio” raccolti a Labro (RI). Di nuovo le voci protagoniste di “Nena mia so’ barcarolo”, anch’esso reperito in provincia di Rieti ma di origine veneta. La seguente “Cattivo custode” (anch’essa tradizionale reatina) giocata sulle due voci femminili di Sara Modigliani e Claudia Mortali, battezza con il primo verso l’album, che da qui in poi scorre felicemente tra pezzi originali, perlopiù strumentali come “La pastora e il lupo” e il “Valzer della giostra”, e brani frutto di un’intensa ricerca sulla tradizione laziale anche con il contributo di Claudio Papi. Il clima sonoro generale è molto rispettoso del materiale dando vita a un folk agreste in cui la ritmica (presente solo a tratti) è demandata a discreti tamburelli e nacchere, e in cui sono protagonisti chitarre, organetto e, naturalmente le voci, che più di una volta sono lasciate sole a testimonianza della ricca polivocalità laziale. Insomma, un viaggio che dalla tradizione sacra delle processioni devozionali ci conduce ai più profani balli sull’aia.
Poco prima del “classico” della musica popolare, la ballata “Donna Lombarda” diffusa in tutto il nord Italia, nella Provenza e non solo, ecco un autentico gioiello: stiamo parlando di “Mampresa”, una canzone per metà filologica (il testo è tratto da una raccolta di canti popolari toscani del 1910) e per metà d’autore (la struggente musica è di Gabriele Modigliani), una storia di sopraffazione lontanamente memore della fiaba “Barbablù”, che però prende tutta un’altra direzione grazie alla fierezza e alla prontezza di spirito della donna che uccide l’uomo che l’aveva rapita.
Insomma, a nostro parere un disco notevole per fattura e per importanza culturale, un lavoro che purtroppo (a differenza del precedente “Amore piccolino fatte grande” del ’94 che era ancora più filologico), finora era quasi del tutto assente dal web. Ci sembrava dunque importante ripescarlo dai nostri scaffali e riproporlo alla vostra attenzione.
Buon ascolto!
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