lunedì 22 giugno 2020

Andrea Liberovici- 1978- Oro (vynil)



“Volava su un corvo spennato con in mano il profumo del passato,
raccontava storie di bambini, di maiali, porci e pulcini.”

TRACKLIST
01 Erbe
02 Risotto
03 Tibet
04 Giovane artista da ritratto
05 L’Uomo, il Brigante, l’Assassino
06 Indicazioni
07 La balena, il mare e Joe nel suo cuore



FORMAZIONE:
Andrea Liberovici- voce, chitarra acustica, violino, banjo
Nino Smeraldi- chitarre
Silvano Bertaggia- chitarre
Stefano Zabeo- chitarre, basso
Paolo Poniz- basso, percussioni
Paolo Donnarumma- basso, organo, chitarra acustica ed elettrica, percussioni
Pietro Tonolo- sax
Gianni Ancorato- sax
Michele Troncon- batteria
Massimo Poli- batteria
Marcello Tonolo- piano
Stefano Caprioli- piano, organo
Angelo Fodda- percussioni
Ermanno Velludo- effetti speciali, percussioni, armonica 

E’ il 1978 e la CGD immette sul mercato discografico “Oro”, album di debutto di un giovanissimo Andrea Liberovici, doppio figlio d’arte (il padre, Sergio Liberovici, e la madre, Margot, sono tra i fondatori dei Cantacronache).
Quando esce questo LP, Andrea Liberovici non ha ancora sedici anni (!), e tre anni prima, mentre è già iscritto al Conservatorio, è rimasto folgorato, a Londra, da un concerto dei Rolling Stones. Tornerà nella capitale inglese ben presto, facendo vita da musicista da strada e vivendo in case occupate.


Questo giovane ribelle, ma dall'aria da secchione (la rivalutazione di quegli occhiali sarebbe venuta solo anni dopo con Harry Potter), tecnicamente sarebbe di poco più grande dei bambini dello Zecchino d’Oro, ma quelli sono anni strani, in cui la discografia è ancora disposta a scommettere e a puntare su giovani magari eccentrici, forse ostici, ma con delle frecce acuminate al proprio arco.
“Oro” mette così in mostra un artista con un talento sicuramente ancora acerbo, ma indiscutibile. E’ un album bizzarro che da una parte approfitta delle estetiche free dei Settanta, dall’altra comincia a guardare a certo rock storto contemporaneo alla Patti Smith (della cui mitizzazione si farà poi beffe nel successivo album omonimo del 1980).


Sono canzoni sghembe, quelle di Liberovici, testimonianza di uno spirito artisticamente inquieto, quello stesso spirito che lo indirizzerà ben presto verso altri lidi, soprattutto teatrali, dove proporrà una commistione tra linguaggi (teatro, musica, poesia, danza) in tutto all’insegna della più coraggiosa sperimentazione. E’ proprio in questa veste di compositore che è oggi più conosciuto, grazie ad opere rappresentate in prestigiosi teatri in diversi paesi europei e non. Tra le tante opere e collaborazioni eccellenti, ci sia permesso almeno ricordare “Rap”,  e "Sonetto: un travestimento shakespeariano", lavori molto interessanti composti con il poeta Edoardo Sanguineti e messi in scena con Ottavia Fusco, con i quali fonderà nel 1996 il Teatro del Suono in cui Liberovici da "compositore transdisciplinare" come ama definirsi, sarà compositore, autore, regista, attore, artista visivo.




Ma torniamo a “Oro” che, con tutte le ingenuità che volete, appare ad ascoltarlo oggi un disco di indubbio interesse, e, azzardiamo, potrebbe essere per molti un’autentica sorpresa.
Si tratta di canzoni che disegnano una poetica stralunata e un po’ canterburiana, debitrice nei testi di un certo Dylan (magari attraverso De Gregori, si ascolti "Risotto" o "Giovane artista da ritratto"), e musicalmente vicina ai mondi disegnati da Claudio Rocchi o da un altro irregolare come Andrea Tich che esordì su Cramps proprio nello stesso anno.
Tutto ciò è reso con un approccio sonoro che oggi definiremmo low-fi, che forse non farà contenti gli audiofili, ma che certamente rispetta la naturalezza con cui è stato portato avanti il lavoro, e la genuinità di un adolescente che per la prima volta si affaccia sul mondo.
Tra i musicisti da citare almeno il bassista Paolo Donnarumma, eccellente turnista, qui anche in veste di coproduttore, e Pietro Tonolo al sax, che poi si affermerà come valente jazzista.


L’album presenta canzoni, interamente scritte da Liberovici, che giocano sovente sulla provocazione verso il gentile pubblico, sia nei testi (che prediligono fiabe malate e personaggi borderline) che nei suoni. La produzione è firmata da Ermanno Velludo e Stefano Cecchetto i quali, in controtendenza rispetto agli usi italici, tengono a volte la voce volutamente dietro in fase di missaggio, a voler dare spazio alla musica, con quei sax che si intersecano, quei cori inquietanti di bambini, quei rumori di fondo a collegare le tracce. Nelle tessiture tramate dall'ampio parterre di musicisti si percepisce chiaramente il gusto della jam, la voglia di bizzarrie e straniamenti, ultime concessioni ludiche di un’epoca che molto ha lasciato fare, per poi richiamare tutti all'ordine.
Tempo un paio di anni e nulla sarà più lo stesso.

Ritratto dell'artista da giovanissimo (a sinistra il padre Sergio Liberovici)
Due anni dopo, dicevamo, Liberovici darà alle stampe, sempre per la CGD, l’album omonimo, più orientato verso una personale rilettura della new wave, ma ugualmente interessante, anche se l’autore all’uscita rivelerà alla stampa, con ingenuo candore (o lucida schiettezza, scegliete voi) di non essere del tutto soddisfatto e di essersi dovuto piegare a numerose interferenze del produttore.
L'uscita di questo secondo lavoro gli consentirà anche qualche apparizione televisiva, una della quali verrà poi, un po' ingenerosamente, inserita nel 2003 tra gli "orrori" anni Ottanta dalla trasmissione "Cocktail d'amore" di Amanda Lear (ma Liberovici non se la prende, anzi sta al gioco e si fa intervistare dall'Amanda nazionale).

A "Cocktail d'amore" con Amanda Lear, 2003
 Se abbiamo scelto di presentare in questo post il disco di debutto è anche perché il secondo lavoro è stato ristampato in CD e lo trovate facilmente sul Tubo, mentre questo “Oro”, a quanto ci risulta, era finora desaparecido, e ci sembrava un’ingiustizia che un lavoro così valido non fosse più reperibile. 

Andrea Liberovici nel suo periodo rock con l'icona Patti Smith
Negli anni Ottanta l’artista veneziano, in polemica con la politica delle case discografiche, abbandonerà la musica leggera facendovi solo una fugace riapparizione nel 1992 con l’album “Pranzo di famiglia” che presenterà in anteprima al Club Tenco dell’anno precedente.
 I successivi CD, “Rap” (1997) e "Sonetto: un travestimento shakespeariano" (1998) sono invece intimamente legati agli omonimi spettacoli teatrali (vanno quindi ascoltati in funzione con l’azione scenica da cui nascono). Altri lavori ancora usciranno su CD negli anni Duemila come "64" (concepito per la radio) o la composizione "Electronic Frankeinstein".



Da ricordare anche, ed è la sua ultima apparizione su CD, la partecipazione di Andrea Liberovici ad "Aia da respià" (a breve su questo blog, vista la sua non facile reperibilità), commosso omaggio della scena genovese a Fabrizio De André poco dopo la sua morte. In quell'occasione Liberovici canterà "Hotel Supramonte".

Ci pare di avervi annoiato anche troppo, quindi vi lasciamo volentieri in compagnia di "Oro", questo strano, ma affascinante disco, diamante grezzo da spolverare e porre in bella luce nella vostra discografia. E mentre lo ascoltate, ricordate: questo disco, con cose incredibili come queste, esce quando l'autore ha solo 15 anni. Vi dirò di più: le canzoni sono state scritte e incise quando ne aveva 13-14. Pazzesco.

"... e io continuo a dire
che il mio salice piange serpenti
e che ragazzine di quindici anni
con le dita tra le labbra
s'accarezzano i denti".



3 commenti:

  1. l'ho ascoltato e l'ho trovato bello. Incredibile la sua storia. Uno dei rari casi in cui non è la persona a scoprire la musica ma è la musica a scoprire l'artista. Ci rendiamo conto che oggi nessun produttore scommetterebbe su un cavallo di tal genere? Chissà quanti ne abbiamo persi nel frattempo strada facendo..... - Saluti - Giudas

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  2. Gran bel disco, Andrea. Si sente che è figlio d'arte. Complimenti per la recensione

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  3. Figliolo, ti stimo. Scrivi alla grande. Dio protegga la stratosfera. Disco off davvero interessante. Quanto avremmo bisogno dello spirito degli anni 70

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