TRACKLIST:
01. Il canto dell'arpa
02. Il canto dell'arpa e del flauto (prima parte)
03. Spring Song
04. Two Balls
05. Africa
06. Il canto dell'arpa e del flauto (seconda parte)
07. San Nicola
Per non spremermi troppo le meningi pubblico qui di seguito l'ottima recensione dell'album curata da Donato Ruggiero (che ringrazio) apparsa sul suo omonimo blog.
"Il canto dell’arpa e del flauto" è il primo album di Pepe Maina, polistrumentista autodidatta tuttora in attività, ed è il suo unico disco non autoprodotto. Il risultato dei suoi studi personali è un disco strumentale (le uniche parole che si ascoltano sono quelle della dedica nel brano Two balls) dalle varie anime, con un sottofondo per buona parte riconducibile alla musica ambient e alla world music dei Third Ear Band e sulla scia italica iniziata quattro anni prima dagli Aktuala. Di certo il tutto non si esaurisce qui. Lungo i sette brani dell’album siamo colti da varie sensazioni sia eteree, sia ipnotiche, con atmosfere orientalizzanti e mediterranee e un mix che va dal folk all’elettronica, dalla psichedelia all’elemento cosmico. Così l’artista descrive il proprio lavoro: musica ambient & prog rock per sogni ed illusioni. Degna di nota la copertina dell’album e, ancor di più, il retro, poiché il personaggio maschile intento a lavarsi i denti che troviamo sul fronte, nell’altra immagine è privo di alcuni denti (forse il risultato di un lavaggio troppo “accurato”). Atmosfera tensiva per Il canto dell’arpa con “rumori” di percussioni e synth, poi assistiti da qualcosa che sembra una via di mezzo tra una chitarra e un’arpa invasata che, nel trascorrere dei secondi, prende sempre più corpo e diventa padrona della scena. Brano ipnotico e cosmico.
Il canto dell’arpa e del flauto (prima parte). Ciò che sembra una serie di onde che muoiono sul bagnasciuga e un’arpa ci coccolano nei primi secondi del brano, poi il suono marino è sostituito dalla tastiera/synth ma il senso di leggerezza permane. Sarà così fin oltre i quattro minuti, poi, dopo una breve pausa, siamo accolti da degli uccelli cinguettanti. A seguire sulla scena compare un synth etereo. Siamo immersi nello spazio più profondo. Gran sensazione di calma e leggerezza. Solo intorno al settimo minuto arriva la chitarra a “movimentare” il pezzo. Senza dubbio un brano molto vicino alla musica ambient di Brian Eno, con qualche elemento “preso in prestito” da Peter Michael Hamel. Partenza più vivace rispetto ai brani precedenti per Spring Song. Due sono i protagonisti principali: chitarra e synth che s’intrecciano tra loro in compagnia di leggere percussioni e di un flauto che è quasi un sussurro in sottofondo, in un sound che sa, a tratti, di arabeggiante. Questa situazione ci condurrà sino alla fine della composizione.
Gli applausi scroscianti che aprono Two balls ci fanno capire subito che andremo ad ascoltare un brano live, l’unico del disco (fu registrato dal vivo al Centro Sociale Leoncavallo di Milano). Prima di iniziare a suonarlo Maina fa una dedica a tutte le suore operaie, alle fabbriche incinte, ai negri tirolesi e a Raquel Welch. Un arpeggio di chitarra ripetitivo e magnetico, in compagnia di un synth che richiama il suono di un flauto, ci avvolge nella prima frazione del brano. Poi arrivano a ruota chitarra distorta, percussioni e flauto (lo strumento che più si fa “sentire” in questo frangente, prima di essere sostituito dal solo di chitarra). Prima dei cinque minuti si mette in gioco anche il sitar. Il tutto è abbastanza lineare, senza stacchi repentini o impennate improvvise. L’avvio della seconda metà del brano ripropone la struttura iniziale, poi, gli ultimi minuti, diventano più sognanti. Un ottimo esempio di world music (forti i richiami agli Aktuala per buona parte della composizione). Molto vivace Africa. L’atmosfera che si respira, almeno inizialmente, sembra più orientalizzante che africana, poi ci pensano le percussioni ad avvicinarci al “continente nero”.
I suoni che ci accolgono e ci accompagnano per l’intera durata di Il canto dell’arpa e del flauto (seconda parte) ci proiettano direttamente nella lontana Cina. Molto rilassante l’effetto. San Nicola si apre con una chitarra molto morbida e un synth che richiama il suono di una cornamusa elettrica. Poi l’ingresso del flauto e di un tamburello danno un tocco di mediterraneità al brano. Il synth ritorna poco avanti. Non si avranno altre evoluzioni particolari a seguire".
Post by George - Music by Osel - Words by Donato Ruggiero
Muchas gracias
RispondiEliminaAtmosfere evocative che invitano ad ascolti ripetuti: in questo istante sto riproducendo ''San Nicola'' e vorrei non terminasse mai! Grazie carissimi George, Osel e Donato.
RispondiEliminaLavoro discreto, tutto sommato gradevole e ben suonato
RispondiEliminaMichele D'Alvano