di Marco Sgrignoli Un album come "Brevi momenti di presenza" giunge completamente inatteso per chi aveva lasciato gli Anatrofobia col precedente (e ottimo) "Tesa musica marginale": facendo passare in secondo piano il caldo jazzcore stravinskiano tutto scatti e spigoli, il gruppo piemontese si getta negli oceani di silenzio di Supersilent e Starfuckers. La formula scelta è quella di session in presa diretta, niente sovra incisioni Registrate in studio, ma si tratta della scaletta del tour 2006/2007. Il titolo già la dice lunga riguardo alla filosofia del lavoro: vuoti quantistici vibranti di tensione, attese sterminate improvvisamente spezzate da fremiti - apparizioni fugaci di coppie particella-antiparticella. Frasi multiformi che nascono e in un istante si annichiliscono, con matematica ineluttabilità. Silenzi che è difficile penetrare con le parole; solo dagli isolati "brevi momenti di presenza" si può sperare di coglierne, almeno in parte, il fascino e il mistero. E così si trovano pulsazioni orfane, frammenti ritmici, botta-e-risposta carichi di riverbero che non fanno in tempo a creare universi, ma li suggeriscono. Parole sparse, interrotte, ridotte in poltiglia subatomica. Poi, quaranta secondi di marasma geometrico, incastri sax-basso-batteria come architetture in ferro-vetro, creati più che dalle note dagli interstizi. La rottura della simmetria; forse un big bang. L'universo che ne segue è uno spiraglio di cinque minuti, sax "liberato" rincorso dalla sua antitesi ritmica e infine catturato, ricondotto al marasma da cui è venuto in un canto del cigno a base di live-electronics. Big crunch come un secondo big bang, uno scorcio di altre possibilità. E infine eccoli, gli Anatrofobia dei singulti bassistici, dei mille frastagliamenti e deragliamenti ipercinetici. Si concedono a sprazzi, sento/non sento, segmentano anche la presenza oltre a scale, metri e durate. Ancora silenzio, qualche eco metallica. Radiazione di fondo e correnti elettroniche, poi Terry Riley irrompe sulla scena: sovrapposizioni di funzioni d'onda, phasing, armonie cSound a strati, blu. La chiusura è di nuovo afasia: sax sospeso e fruscio di spazzole, qualche colpo di timpano che riecheggia nel nulla. C'è da augurarsi che "Brevi momenti di presenza" sia l'inizio di un nuovo percorso per la band, ancora più incentrato sul dialogo improvvisazione strutturata/composizione. Senza dubbio è sintomo della vitalità e della maturità del panorama jazzcore/math italiano, di cui gli Anatrofobia sono la punte di diamante in compagnia di Zu, Caboto, Calomito. Un disco entusiasmante, assieme denso e rarefatto, lucido e spirituale. E chissà dal vivo! |
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