TRACKLIST
LATO A
1 Aleph
2 I Linguaggi
3 Barbara
4 Il Mio Dio
LATO B
5 A Song For Everyone
6 Motel
7 Siamo Cresciuti
8 Carioca And 17 Latinos
CREDITS :
Claudio Fabi - tastiere, organo, marimba, voce
Alex Acuna - percussioni
Abrahim Laboriel - basso
Motch Holder - chitarra acustica ed elettrica
Garey Mielke - oberheim synthesizer
John Philips - oboe, flauto, piccolo, sax alto, tenore, soprano
Greg Bloch - violino
Claudio Dentes e Josè Due - chit. elettriche in “Barbara” e “ Il mio Dio”
Terry Simicik - solo chit ac. in “Siamo cresciuti”
Dean Andrè, Lura Daniel Bal, Regina Wereneck,
Margot Brito e Vera Da Silva - cori
Claudio Fabi è nome noto a chi bazzica musica made in
Seventies: direttore artistico della Numero 1, il suo nome è legato ad alcuni
dei nomi più scintillanti di quella gloriosa etichetta voluta da Battisti,
Mogol e Colombini. In particolare, gli amanti del prog nostrano lo ricorderanno
come produttore della PFM fin dal seminale “Storia
di un minuto”, ma Fabi ha affiancato nel loro cammino anche artisti come Ivan Graziani,
Adriano Pappalardo, Acqua fragile, Gianna Nannini, Paolo Conte. Passato alla
PolyGram, metterà la sua firma sull’insuperabile esordio di Alberto Fortis (che
produce e arrangia) ed altri ancora. Molti sapranno anche che nelle sue
scorribande musicali dell’epoca si portava spesso dietro un bimbo che poi
diverrà Niccolò Fabi, ma questa è storia dei giorni nostri. Pochi, forse, sanno invece che Claudio Fabi vanta anche una
piccola discografia in proprio che consta di tre titoli, posti a notevole
distanza l’uno dall’altro, da “Aleph”
(’82) a “Anima mundi” (’99) al più
recente “Hermetico” (2012).
E’ proprio il suo esordio solistico che è protagonista di questo post: “Aleph” (che battezza anche la nuova, sporadica, etichetta di Fabi, distribuita dalla CGD) fa la sua comparsa quando ormai la vicenda della Numero 1 è già bella e finita, gli anni ’80, vogliosi di scrollarsi di dosso le pesantezze e le tensioni dei nervosi ’70, esigono un nuovo sound e Fabi, a modo suo, dice la sua con questo album il cui ascolto riserva più di una sorpresa. Intendiamoci, siamo dalle parti di un easy listening che a molti potrebbe apparire leggerino, ma, signori, vi invitiamo ad ascolatare senza pregiudizi, perché tra i solchi di questo album troverete, ne siamo sicuri, motivi di piacere.
Appoggiando il disco sul piatto, potreste, infatti, farvi ammaliare dal funky brasilianeggiante dell’iniziale title track, dalla languidezza di “I linguaggi”, dal violino solista di “Barbara” (all’archetto Greg Bloch, già sostituto del fuoriuscito Mauro Pagani nella PFM), o dall’inusuale oboe che ricama “Il mio Dio”. Girando lato, vi accoglie lo strumentale pomicione di “A song for everyone”, la melodia non banale della strofa di “Motel”, arricchita anche da un’interessante figurazione ritmica e poi via via il finale, che come un serpente orfico si riallaccia all’inizio con quello sfoggio di percussioni (merito dell’ex Wheather Report Alex Acuna, e scusate se è poco), che lo intridono di quel forte sapore carioca dichiarato fin dal titolo.
Diciamolo subito, Claudio Fabi non è un cantante propriamente detto, tuttavia, vocalmente parlando, quasi sempre un trapattoniano 0 a 0 a porte inviolate lo porta a casa, eccezion fatta per “Siamo cresciuti”, dove alcuni limiti risultano abbastanza evidenti.
Insomma, un disco che se non ha fatto la storia della musica
italiana, non è neanche meritevole dell’oblio che l’ha travolto (in rete, per
dire, le notizie sono praticamente assenti), e quindi, signori, buon ascolto e
sappiateci dire.
Avvertenza - Nel rippaggio i due lati sono stati riversati su altrettanti
files.
Post di Andrea Altrocanto, supervisione del Capitan
Grazie ad Andrea e al Capitano: l'ascolto di questo album di Claudio Fabi é stato assai piacevole, potreste postare anche il resto della sua discografia?
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